Andrea e Gianluca spiegano come l'ottimismo irrealistico influisca sulla sicurezza informatica, portando a sottovalutare i rischi personali e aziendali. Analizzano manifestazioni comuni come l'illusione di non essere bersagli e l'eccessiva fiducia nelle proprie competenze, offrendo esempi reali e strategie per promuovere consapevolezza e responsabilità condivisa. Scopri le misure pratiche per proteggere organizzazioni di ogni dimensione.
Andrea
Oggi parliamo di ottimismo irrealistico nella cybersecurity. Questo bias cognitivo si manifesta nella nostra tendenza a credere che eventi negativi, come un attacco informatico, abbiano una probabilità inferiore di colpire noi rispetto agli altri. È come se dicessimo "Non succederà mai a me."
Gianluca
Esatto, ed è interessante notare come questo approccio influenza il nostro comportamento. È un meccanismo psicologico che ci dà un falso senso di sicurezza, che spesso ci porta a sottovalutare certi rischi. Ma come si manifesta concretamente in ambito di cybersecurity?
Andrea
Ci sono tre modi principali. Il primo è qualcosa che chiamerei "l'illusione del bersaglio insignificante". È la convinzione che i cybercriminali prendano di mira solo grandi aziende o individui di spicco. Insomma, pensiamo: "Chi mai vorrebbe attaccare me? Io non ho niente di valore."
Gianluca
Questo è un errore molto comune. La realtà è diversa, vero?
Andrea
Esattamente! Molti attacchi sono automatizzati. I criminali non scelgono di colpire singoli bersagli "importanti"; lanciano reti larghe, sperando di colpire chiunque sia vulnerabile.
Gianluca
Le persone si affidano a questa convinzione, ma in realtà proprio questa trascuratezza può renderle bersagli più facili. Il secondo modo in cui si manifesta questo bias è l'illusione di competenza, no?
Andrea
Esatto. Spesso pensiamo di essere troppo esperti per cadere in tranelli. È quel classico atteggiamento: "Io riconosco subito un'email phishing" o "Non mi farò mai ingannare." Ma, paradossalmente, questa sicurezza eccessiva può abbassare le nostre difese.
Gianluca
Mi viene in mente uno studio interessante. Ha dimostrato che persino i professionisti IT, che dovrebbero essere i più preparati, possono essere vittime di attacchi sofisticati proprio per questa illusione di competenza. È un, come dire, un paradosso dell’esperto.
Andrea
Assolutamente. Più pensiamo di essere al sicuro, più diventiamo vulnerabili agli attacchi più mirati. Infine, arriviamo alla terza manifestazione: l'illusione dell'esperienza passata. Pensare che, poiché non siamo mai stati vittime, siamo in qualche modo immuni.
Gianluca
Questo è pericoloso. La mancanza di incidenti passati spesso viene confusa con abilità o protezione efficace, ma potrebbe essere solo fortuna.
Andrea
Esatto. Pensa a questa storia reale. Un'azienda di medie dimensioni ha subito un attacco perché un dipendente del reparto amministrativo pensava che la contabilità non fosse un obiettivo attraente per i cybercriminali. Ha aperto un allegato malevolo credendo che fosse innocuo...
Gianluca
...e questo ha compromesso l'intera rete aziendale, giusto?
Andrea
Esattamente. I criminali hanno usato quel punto d'accesso per rubare dati finanziari sensibili di tutta l'organizzazione.
Gianluca
Questo caso mostra bene come l'ottimismo irrealistico non solo ci espone al rischio, ma può compromettere intere organizzazioni. Come vedremo, ci sono precisi meccanismi cognitivi che rafforzano queste convinzioni.
Gianluca
Sai, dietro a queste manifestazioni dell'ottimismo irrealistico ci sono meccanismi cognitivi affascinanti che influenzano il nostro modo di vedere i rischi. È come se il nostro cervello cercasse di proteggerci da un senso costante di vulnerabilità, spingendoci però, paradossalmente, verso comportamenti rischiosi.
Andrea
Esatto, ma questo "senso di protezione" tende a farci ignorare rischi che invece sono molto reali. Vuoi approfondire quali meccanismi scattano?
Gianluca
Certamente. Uno dei principali è il "bias di comparazione sociale", che ci porta a vedere gli altri come più vulnerabili di noi stessi. È, diciamo, un modo per mantenere un certo ottimismo generalizzato. Ma c’è anche la tendenza a focalizzarci solo sulle informazioni che confermano la nostra percezione di controllo.
Andrea
Interessante. E questo spiega perché molte persone, quando si parla di cybersecurity, pensano "sono attento io, quindi non succede". Hanno un'illusione di invulnerabilità creata proprio da queste scorciatoie mentali.
Gianluca
Esatto. E non dimentichiamo la "normalizzazione del rischio". Più tempo passiamo senza incidenti, più cominciamo a trattare il rischio come inesistente. È come dire: "Se non è mai successo, non succederà."
Andrea
Questo atteggiamento mi ricorda un workshop che ho tenuto qualche mese fa. Trattavamo proprio di rischi aziendali. Sai, all'inizio, molti dipendenti erano convinti che la sicurezza informatica fosse una questione solo per il reparto IT.
Gianluca
Immagino. Erano sorpresi, vero?
Andrea
Assolutamente. Abbiamo fatto simulazioni per mostrare come anche piccoli errori individuali possano avere grandi conseguenze. A un certo punto, uno dei responsabili ha detto: "Non credevo di essere un potenziale bersaglio." È stato uno di quei momenti in cui tutti si fermano a riflettere.
Gianluca
Questo è un ottimo esempio di come la consapevolezza possa trasformare il nostro modo di vedere il rischio. Ma spesso serve qualcosa di pratico, concreto, per spezzare queste convinzioni radicate.
Andrea
Ed è proprio qui che gli esempi concreti e le storie reali giocano un ruolo fondamentale. Quando si riesce a rendere percepibile il rischio, anche le resistenze psicologiche iniziano a cadere.
Gianluca
Infatti. La sfida più grande è cambiare una mentalità non solo negli individui, ma in intere organizzazioni. Come vedremo, ci sono strategie che possono aiutarci a farlo efficacemente.
Andrea
Infatti, aumentando la consapevolezza, possiamo iniziare a combattere l’ottimismo irrealistico, specialmente in ambito di cybersecurity. E a questo proposito, ho cinque strategie pratiche da proporre, che possono fare una grande differenza nella nostra sicurezza digitale.
Gianluca
Ottimo. Partiamo con il primo punto. Qual è?
Andrea
Allora, il primo passo è cambiare il nostro modo di pensare. Bisogna adottare una mentalità basata sui dati. Non dobbiamo chiederci "succederà proprio a me?", ma "qual è la probabilità che succeda?" È un cambio di prospettiva che ci spinge a guardare il quadro generale.
Gianluca
Esatto, perché spesso vediamo solo la nostra situazione personale e non consideriamo che questi attacchi sono ovunque. Sapere che, ad esempio, il 43% degli attacchi colpisce PMI cambia molto la percezione del rischio.
Andrea
La conoscenza è fondamentale. Il secondo punto è quello che mi piace chiamare "l'auto-hacking". Fermiamoci e riflettiamo: se fossimo un cybercriminale, come attaccheremmo noi stessi o la nostra azienda? Questo esercizio ci aiuta a individuare le nostre vulnerabilità.
Gianluca
Interessante! È come mettersi nei panni di chi ci attacca. Ma davvero poche persone si prendono il tempo per farlo. Parlare apertamente di vulnerabilità può sembrare spaventoso, ma è un passo essenziale verso una maggiore consapevolezza.
Andrea
Esattamente. Terzo punto: imparare dagli errori degli altri. Quando sentiamo parlare di un attacco informatico, invece di pensare "non succede a me", dobbiamo chiederci "come potrebbe accadere a me in modo simile?".
Gianluca
E questo è potente, perché ci permette di usare le esperienze altrui come una lezione. Non serve aspettare di sbagliare per correggere il tiro. Basta osservare e, diciamo, "rubare le lezioni dagli altri".
Andrea
Perfetto, proprio così. Il quarto punto è più concreto: mantenere aggiornate password e sistemi. Non importa se ci sentiamo al sicuro o a rischio; le buone pratiche non vanno mai abbandonate. È come lavarsi i denti ogni giorno.
Gianluca
Vero. È una routine. Non è questione di se succederà qualcosa, ma di essere comunque pronti nel momento in cui accade. Bella questa metafora, tra l’altro: semplicemente proteggere se stessi, ogni giorno.
Andrea
E per finire, un punto che spesso viene trascurato: condividere la responsabilità. In ogni organizzazione la sicurezza non è mai solo una questione personale. È una catena, e l'anello più debole può compromettere tutto il resto.
Gianluca
Sai, mi ricorda un progetto che ho seguito con un'azienda media. Avevano organizzato sessioni di formazione dove dipendenti da ogni reparto collaboravano per individuare vulnerabilità. Hanno lavorato insieme e hanno migliorato drasticamente la propria sicurezza. È stato un bel cambiamento culturale.
Andrea
Questo è l’esempio perfetto. Quando la sicurezza diventa una responsabilità collettiva, cambia il modo in cui tutti si approcciano al rischio, e di conseguenza, anche le vulnerabilità diminuiscono.
Gianluca
Esattamente. E direi che tutto parte dalla consapevolezza che nessuno è immune. È una consapevolezza che ci aiuta ad agire, senza cadere però nella paranoia, ma mantenendo attenzione e disciplina.
Andrea
E direi che su questa nota possiamo concludere. L’ottimismo irrealistico può sembrare innocuo, ma capire come agisce e come contrastarlo è il primo passo per essere più sicuri. Speriamo che questi consigli siano utili e applicabili per tutti voi all’ascolto.
Gianluca
Sì, alla fine la sicurezza non è mai un caso. È il risultato di consapevolezza e preparazione. Grazie a tutti per averci seguito oggi.
Andrea
E con questo, vi salutiamo. Grazie per averci ascoltato. Alla prossima puntata!
Chapters (3)
About the podcast
Spiega perchè la dimensione psicologica e comportamentale sia essenziale per governare la cybersecurity in azienda. Il tema della cybersecurity è centrale come problema azienda. NOn è solo una faccenda tecnologica e it. Occorre esplorare e capire i bias cognitivi e imparare a governrli per gestire la sicurezza in modo efficace pratico e non teorico
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